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> ITINERARI A VAPORE - LA FERROVIA PORRETTANA

> OVVERO ALLA SCOPERTA DEI SEGRETI DELL'ANTICA TRATTA APPENNINICA CHE COLLEGAVA MILANO A ROMA

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Quando la ferrovia Bologna-Pistoia fu progettata l'Italia non esisteva ancora, ovvero esisteva come insieme di tanti staterelli uniti poi dal mio amico Beppe.

Fig. 1 - Il pozzo 0 (Mappa OSM)

L'ingegnere a capo di tutto fu un francese un certo Gian Luigi Protche (scusate l'italianizzazione del nome ma anche i francesi fanno uguale) che dovette risolvere un grosso problema: far scendere la ferrovia dai 700 m. di quota di Pracchia ai 50 di Pistoia avendo una distanza lineare di circa 15 km.

Anche ricorrendo ad un mega tunnel in discesa che oggi si potrebbe costruire in 10 o 20 anni i problemi tecnici dell'epoca rimanevano. La trazione a vapore non consentiva tunnel più lunghi di 2 - 3 km e inoltre anche ammesso, scendere di 650 metri in 14 o 15 km. equivale ad avere una pendenza eccessiva, impossibile senza cremagliera.

Protche si scervellò parecchio arrivando a risolvere l'arcano come segue: un tunnel di valico della lunghezza all'epoca record di circa 3,5 km e poi un tracciato in discesa con parecchie brevi gallerie che per stare entro la pendenza massima del 3,5 % si è dovuto allungare facendogli compiere una grande "S".

Un'opera del genere, da Bologna a Pistoia, progettata a metà del XIX secolo, completata in 3 anni e inaugurata nel 1864 ha richiesto accorgimenti ingegneristici all'epoca rivoluzionari, e non mi riferisco certo alle gallerie dalla lunghezza record, o ai viadotti dall'altezza record.

Fig. 2 - Il pozzo 2 (Mappa OSM)

  Per questo genere di informazione così come per tutti i ragguagli tecnici vi rimando alla pagina di Wikipedia che parla della ferrovia Porrettana. Su questa pagina ci occuperemo delle opere secondarie, decisamente meno conosciuti ma

Fig. 3 - Il presunto pozzo 1

forse proprio per questo secondo me più interessanti.

Ho deciso di compiere un lungo viaggio a piedi (circa 26 km) per cercare di vedere tutto in un sol giorno. La partenza è dunque da Pracchia alle 10, imboccando la stradina che passa sopra la galleria di valico, chiamata appunto galleria dell'Appennino.

Questa conduceva al paese di Collina Pistoiese ma una frana ne ha decretato la chiusura ai veicoli permettendo il passaggio solo a piedi.

Già però dopo poche centinaia di metri c'è la prima costruzione di interesse storico ferroviario: si trova una cinquantina di metri a valle rispetto alla strada e a prima vista sembra una piccola torre cilindrica. In realtà è il pozzo 0 (fig. 1) della galleria sottostante, costruito per cercare di agevolare la vita dei macchinisti alle prese coi fumi della vaporiera.

Risaliti sulla strada, si prosegue fino al tornante in cui bisogna abbandonare la strada asfaltata per prendere un sentiero. Sono le ore 11 e proprio qui c'è il pozzo 2 (fig. 2) con una conformazione a cono, che sarebbe poi la chiusura in cemento fatta anni fa.

Sinceramente non so per quale motivo nella nomenclatura si sia saltato il pozzo 1. Potrebbe essere che sia questa strana "botola" (fig. 3) protetta con 4 legni e sita proprio nelle immediate vicinanze del pozzo 0.

Fig. 4 - Il pozzo 3 e la sua esatta ubicazione (Mappa OSM)

Dopo il pozzo 2, ci si inoltra nel bosco e al primo bivio si prende il sentiero a fondo cieco che porta al pozzo 3. Questo mi è costato qualche ortica di troppo nelle gambe poco protette dai pantaloncini corti, ma cosa non si fa per l'avventura?

Il pozzo 3 (fig. 4) è il più grande e il più blasonato, quasi un "divo": la Pro Loco di Sammommè gli ha persino dedicato un cartello in legno inciso a pirografo. Per le sue dimensioni e per evitare che qualcuno finisca male, è coperto da una grata in metallo (fig. 5). Insomma, qua è severamente proibito il suicidio :-)

Fig. 5 - La grata del pozzo 4

Mi godo uno scorcio di panorama prima di tornare indietro (fig. 6). Essendo questo un sentiero a fondo cieco, per proseguire l'itinerario si sarebbe dovuto ritornare indietro di circa 400 - 500 metri al precedente bivio per prendere un sentiero che si snoda parallelo e più a monte rispetto a questo cieco.

L'idea è quindi di fare un taglio per evitare il giro ad "U" che mi costerebbe quasi 1 km. Ma la pendenza della montagna e soprattutto i rovi e le ortiche impediscono qualsiasi fuori via, rendendo persino difficoltoso (pungente) il percorso sul cieco sentiero esposto al sole.

Fortunatamente dopo 200 m. trovo una zona boschiva libera da ostacoli e tra gli alberi, sfruttati come agganci, mi arrampico in diretta per la salita giungendo finalmente sul sentiero ex mulattiera che conduce al passo di Piastreta cui, dopo aver raccolto e gustato parecchie more selvatiche, arrivo alle 12, cioè dopo 2 oredi viaggio.

Fig. 7 - Passo Piastreta e sue curiosità

 

È un passo decisamente basso, posto a 895 m. di quota, tuttavia il panorama è molto bello, scorgendo lontano, in basso, la città di Pistoia. Qua si prende una mulattiera, mal messa e non classificata CAI che scende in direzione di Sammommè.

Fig. 6 - Panorama

Le difficoltà sono parecchie: alberi caduti, rovi che ostacolano il passaggio, tracciato non mantenuto a tratti intriso di acqua, sassi e pietre ovunque, difficoltà a seguire l'antica mulattiera tali da rischiare più volte di perdere la traccia. Il navsat in cui avevo memorizzato la rotta non è preciso al metro e nemmeno al decametro: il segnale localmente va e viene e mi da delle posizioni imprecise con tolleranze di 20-50 metri che in questi casi sono determinanti.

Con parecchio scervellamento riesco a mantenere una rotta di massima anche se non è quella preimpostata che mi avrebbe dovuto condurre al lago di Lagoni - Prato al Lago. Mi procuro alcuni graffi da rovi e arbusti secchi spezzati e appuntiti a dimostrazione di quanto qua sia difficile proseguire: è evidente che questo tracciato andrà via via dismesso proprio per la sua progressiva impraticabilità nel tempo.

Mi rendo conto di essere completamente fuori rotta a circa 1 km a ovest di Lagoni, ma va bene lo stesso perchè comunque procedendo verso sud, prima o poi dovrò incontrare la strada di Rimezzano - I Piloni due località adiacenti (50 m.) composte da un totale di... 9 edifici tra case e non case.

Finalmente la mulattiera dell'impossibile sbocca su una strada sterrata utilizzata da tagliaboschi e macchine agricole: il polpaccio sinistro sanguina per un lungo e profondo graffio da un qualcosa di indefinito.

Fig. 9 - Sammommè

Lo lavo con l'acqua delle bottiglie che porto nello zaino. Le scarpe sono grigie così come gli ex bianchi calzini sportivi. Questa discesa è stata davvero terribile!

Fig. 8 - Una vecchia sega a nastro

La strada sterrata è assolata e il mio cervello sale di temperatura: la bandana protegge si, ma solo fino ad un certo punto. Dopo altri 300 metri arrivo sulla strada asfaltata che porta alle due località di Rimezzano e I Piloni dove dalle carte digitali sul sat vedo esserci una provvidenziale fontanella: le scorte d'acqua si erano ridotte a meno di mezzo litro.

Dopo il prolungato rinfresco a Rimezzano - I Piloni decido di non proseguire fino a Lagoni per la strada sterrata che prevedo essere di circa 500 m. Sono relativamente stanco, il percorso è ancora lungo e così facendo risparmio 1 km tra andata e ritorno: dopotutto è solo un laghetto che nulla centra con le opere ferroviarie.

Da Rimezzano prendo per un sentiero che parte da un cortile: scende in picchiata in direzione sud, verso Sammommè. Anche questo non è classificato CAI e perciò è in condizioni quasi pessime, oltre che ad essere in taluni punti molto ripido a rischio scivolatura. Ad un incrocio manco la rotta e prendo erroneamente a ovest: il nav sat dava anche qua posizioni generiche dove 50 metri fanno la differenza.

Così facendo però accorcio il tratto su sentiero continuando su strada normale per Sammommè. La rotta originale invece prevedeva il cammino in sentiero sino a questo paese: non tutti i mali vengono quindi per nuocere.

Sulla strada non mi rendo conto di passare nelle immediate adiacenze del pozzo 4, non segnato sulla carta, cosa di cui solo oggi che scrivo, a distanza di 2 giorni dal percorso fatto, sono venuto a conoscenza: dopotutto siamo ancora sopra alla galleria di Pracchia (Galleria dell'Appennino), quella lunga oltre 2,7 km e questo significa che in linea retta avrei percorso soltanto circa 2,5 km dalla partenza.

Fig. 10 - La fibra ottica a 135 persone

In realtà ne ho percorsi oltre 6,6 e sono in cammino, soste comprese, da 2 ore e mezzo. Mi perdo il pozzo 4 ma mi godo una macchina d'altri tempi che non vedevo dai primi anni 70: una sega da legno. Ovviamente in completo disuso e abbandono (fig. 8)

Finalmente giungo a Sammommè: (fig. 9) un bellissimo paesino di montagna (collina) sito a 550 metri di quota e abitato permanentemente da 135 abitanti.

La chiesetta è pittoresca da matti ma il controluce mi rovina la foto: mica potevo spostare il sole no?

Riscopro alcuni cartelli indicatori di località in puro stile anni 60 - 70 quando cioè essi erano sagomati a freccia (e non quindi rettangolari) e bordati di bianco: Dopo la sega vintage anche i cartelli vintage: solo a Sammommè.

Ma non è finita: qua, paesino di montagna (collina) 135 abitanti hanno la... udite udite... la fibra ottica (fig. 10)! Ci sono paesi ben più grandi che manco hanno ancora la ADSL e qua son già alla fibra ottica.

Fig. 11 - Sammommè o San Mommè?

Ovviamente son ben contento per loro ma, essendo italiano e abitando in Italia mi sorge subito un dubbio malpensante: ma non che si sia portata la fibra ottica fino qua solo perchè "qualcuno che conta" che ha la casa vacanza in questo paese ha fatto delle... ingerenze oltremodo? Le cicatrici sull'asfalto parlano chiaro: km e km. di scavo in sede stradale per dare un servizio a 135 persone, molte delle quali presumibilmente anziane, quindi non utilizzatrici (o quantomeno poco utilizzatrici) di internet. Se fossimo in Danimarca sarebbe tutto normale ma, capite vero, siamo in Italia...

Infine, sempre da Wikipedia, esso ha una rete di teleriscaldamento funzionante a cippato.

Fig. 13- Un insolito passaggio

Sammommè? O San Mommè? Che sarebbe come domandare se è nato prima l'uovo o la gallina. Il cartello della località recita Sammommè (fig. 11) ma da sempre le ferrovie (Prima FS poi TI e RFI) lo hanno chiamato San Mommè: ricordo che negli anni 70 tra i ferrovieri di Bologna e Pistoia si diceva che San Mommè era il santo creato dalle FS. In realtà anche le carte geografiche digitali quali OSM e Google Map etichettano il paese col nome del santo. Ma allora perchè il cartello della località, quello più sott'occhio da tutti gli abitanti locali, recita Sammommè? Se leggete la voce su Wikipedia, quella linkata poc'anzi, vedrete che si ammette il doppio nome: io preferisco usare quello del cartello della località, Sammommè, almeno è più originale: quanti paesi col nome di santi abbiamo in Italia?

Fig. 12 - La stazione

Ovviamente questo ridente paesino ha la stazione ferroviaria (fig. 12), posta a quota 550 esattamente all'uscita della galleria dell'Appennino che inizia a Pracchia a quota 630. Sotto questa galleria quindi la ferrovia scende di ben 80 metri di quota che, considerata una lunghezza "lorda" (cioè qualche centinaio di metri in più da stazione a stazione) di circa 3 km abbiamo 80/3000*100 = 2,6% di pendenza media. Questo fu calcolato dai rilievi nel 1852 quando oltre all'Italia non esistevano ne i computer ne i misuratori laser. Non esisteva nemmeno l'illuminazione elettrica: solo luce a candele, olio o gas e solo da 5 anni Roma aveva la sua prima pubblica illuminazione.

Uscito dall'abitato e dalla stazione, proseguo la mia marcia sulla strada asfaltata che porta a sud, verso Piteccio e la bassa valle dell'Ombrone Pistoiese, ma dopo un paio di km qualche tornante e parecchie more, squisite, che fungono da ottimo pasto (molto vegetariano, per la verità)  raccolte da rovi a lato della strada con qualche piccolo dolore alla pelle, imbocco una strada bianca a sinistra, a monte, che conduce in località Il Bruni, luogo composto da... 1 casa.

Qua la strada bianca si fa sentiero passando tra la casa e la parete montagnosa in uno scorcio di particolare bellezza (fig. 13): peccato solo che procedendo indicativamente verso sud, come al solito mi trovo col sole +/- contro.

Da qui il sentiero si fa assolato ma ben nutrito di more a volte grandi come nocciole. Ben presto mi ritrovo con le mani viola, ma la penuria di acqua non ne permette il lavaggio, nemmeno se rapido. Dalle mappe infatti, vedo una fontanella a pochi km avanti, proprio prima del paese di Castagno ma, come già capitato in passato, a volte queste fontanelle non funzionano o sono chiuse. Insomma, qua più che mai vale il proverbio: mai dire gatto finchè non ce l'hai nel sacco.

Fig. 14 - Galleria idraulica

 Il sentiero fa una secca curva e puntuale trovo la fontanella: faccio il pieno, bevo più che abbondantemente e scorgo il primo cartello turistico relativo all'Itinerario del Vapore con la descrizione della galleria idraulica. Che cos'è? Un tunnel artificiale dove passa l'acqua di un torrente o fosso e che sovrasta la ferrovia, anch'essa in galleria. Cioè la galleria ferroviaria è sopra attraversata da una galleria trasversale dove dentro passa l'acqua del fosso.

Questi accorgimenti tecnico idraulici di metà 800 erano atti a garantire che l'acqua del fosso non s'infiltrasse, invadendo la sede ferroviaria, che in galleria era sarebbe stato un problema.

Fig. 15 - La stazione di Castagno e il benvenuto

 Confesso che risalire per qualche decina di metri il fosso asciutto ma angusto e trovarmi davanti quella "bocca" visibile in fig. 14 mi ha fatto un certo senso, come di un luogo in cui ambientarci un qualche film o racconto giallo: per il racconto

 ci penserò su!

Arrivo a Castagno, presumibilmente 30 abitanti, forse 50, però c'è un bellissimo residence con una altrettanta invitante piscina che mi fa venir la voglia di tuffarmi dentro, sudato come sono! Ma guardo, invidio e proseguo, fino alla stazione (fig. 15).

 La stazione di Castagno è un bijoux, un condensato di carineria e simpatia. Se pensiamo alle grandi stazioni, piene di scippatori, tossici e senza tetto, questo è il paradiso. Solo in questi frangenti capisco la vita lontano dalle città e come lontano da esse si possa vivere decisamente meglio. Tanto, lo abbiamo visto, c'è teleriscaldamento, piscina e fibra ottica: cosa vogliamo di più?

 5 minuti per 2 foto e poi si prosegue nel sentiero che costeggia la ferrovia, oltrepassando la galleria sud adiacente alla stazione: dopo qualche centinaio di metri si arriva all'entrata (verso Pistoia) della galleria del Signorino, una fra le più lunghe, tanto è vero che adiacente al portale vi è un edificio diroccato che anticamente ospitava uno dei mitici ventilatori Saccardo (fig.16), utili per mandare aria fresca contro i fumi da vaporiera all'interno, e di cui erano provviste le gallerie più lunghe come anche quella dell'Appennino tra Pracchia e Sammommè.

Fig. 16 - L'edificio che ospitava uno dei ventilatori Saccardo e sua ubicazione su OSM

 Se di lati negativi in questo tour ne abbiamo già parlato (rovi, tafani, ortiche) bisogna sottolineare come la zona sia molto ricca di rovi da more, che nella stagione giusta permette ottimi piccoli "spuntini" naturali (fig. 17).

Il sentiero sfocia in una strada bianca in località Casale (3 edifici) a ovest de Il Signorno da cui si può godere di un buon panorama sia della valle a monte, con visibile al centro a destra il passo di Piastreta dal quale sono disceso, sia di quella a valle con Pistoia sullo sfondo (fig. 18). Ma altri panorami mi attendono come quello in fig. 19.

Fig. 17 - Grandi e ottime more selvatiche

Proseguendo ancora per una strada asfaltata e raggiungo Fabbiana: qua la ferrovia direzione Pistoia va verso nord perchè ha già fatto il primo tornante e siamo nel bel mezzo della grande S.

Fig. 18 - La valle dell'Ombrone: a monte col passo Piastreta al centro leggermente a destra, e a valle con Pistoia

Da qui avrei dovuto prendere un sentiero che porta a Vignacci nel "cuore" delle opere ingegneristiche storiche, ma per problemi tecnici di disponibilità mappe avuti il giorno prima quando ho programmato il giro, non avevo tracciato una rotta particolarmente esatta: questo mi è costato il mancare il sentiero e farsi alcuni km in più su strada asfaltata facendomi tutti i tornanti di Fabbiana.

Però una breve sosta alla piccola piazzetta del pittoresco borgo arroccato sopra la galleria di Piteccio-Vignacci-Fabbiana mi ha permesso di carpirne uno scorcio (fig. 20)

Di passo in passo, arrivo nel cuore dei "segreti" della Porrettana: la zona delle trincee (fig.21). Quando la ferrovia fu completata, la galleria che passa sotto Fabbiana, Vignacci e Piteccio era un unico condotto di poco più di 1700 metri: il problema non era tanto la lunghezza perchè come abbiamo potuto vedere c'erano (e ci sono) gallerie ben maggiori. Il grosso problema stava nel fatto di essere una galleria in una curva quasi a 180°: il portale d'entrata e quello d'uscita non sono infatti frontalmente opposti come in una galleria rettilinea

Fig. 20 - La piazzetta di Fabbiana

Fig. 22 - Insoliti nomi di strade

Fig. 19 - Altri panorami

Si può ben immaginare che se in un condotto rettilineo bastano poche e facili correnti d'aria per soffiare il fumo verso una delle due uscite, in un condotto ad arco questo problema è molto aggravato perchè nessuna corrente d'aria, comunque soffi, può liberare la galleria dai fumi. Inoltre detti fumi, col tempo, depositandosi sui binari, creavano una patina oleosa scivolosa che dava problemi d'aderenza su un tratto con pendenze prossime ai limiti tollerabili, per cui i coefficienti di frenata aumentavano equiparando la pendenza del 2.5% ad una del 3.8% con binari puliti.

Fu nel 1882, a 18 anni dall'inaugurazione della linea, che si decise di separare la galleria in 3 parti creando due aperture artificiali nella montagna, ovvero 2 trincee ferroviarie. Una in località Vignacci e una più a nord sul torrente Castagno. Queste opere però non risolsero appieno il problema e per avere aria più respirabile si dovette attendere l'avvento della trazione elettrica trifase nel 1927.

Viste di persona queste trincee appaiono spaventose: un "buco" nella montagna, profondo a occhio 15-20 metri e tutto mattonato, intrecciato da una vegetazione ogni anno sempre più fitta, sul fondo del quale si intravedono binari e linea elettrica. Purtroppo nessun treno: la sfortuna ha voluto che in questi giorni la linea fosse ferma per manutenzioni tecniche e tutti i convogli sono sostituiti da bus.

Mentre risalgo un sentiero scorgo l'ennesimo pozzo, classificato N.6 (fig. 22), ma oramai l'interesse e la mente vanno alla prima trincea che d'improvviso mi si apre sulla sinistra: sembra una dolina artificiale. Purtroppo le foto non rendono perchè il periodo estivo (quello in cui si mangiano tante more) coincide con il massimo della vegetazione (fig 23) che nasconde il soggetto.

Fig. 22 - Il pozzo N° 6

Fig. 21 - La zona delle trincee

Ora è tempo di procedere alla ricerca dell'altra trincea. Numerosi cartelli aiutano allo scopo.

Arrivo in prossimità di uno di essi: non si può sbagliare. Risalgo il sentiero e mi trovo il muro che protegge dalla "voragine" trincea di Castagno.

Integrato nella stessa struttura vi è pure la galleria idraulica per far scorrere il torrente sopra la ferrovia già dentro la galleria. Riassumendo, per chi proviene da Bologna, subito prima della trincea, gli ultimi metri di galleria passano sotto una seconda galleria trasversale e più piccola dove dentro ci passa il torrente.

Era il 1850 e all'epoca tutte le pietre per le costruzioni erano ottenute da sassi scalpellati a mano! Spiace solo che per questo sito le foto di fig. 24 siano controluce e offuscate da numerosi rami: mi riprometterò di ripetere l'impresa a novembre.

Ritornato sulla strada asfaltata, dopo una piccola salita prendo un sentiero che mi porta giù alla stazione di Piteccio: il ponte naturale è carino (Fig. 25)

Non posso che fare un passaggio dalla stazione, attualmente dismessa da RFI (i treni non fermano), ma con un passato di grande lustro. Sono ancora presenti le tracce del binario di salvamento, un binario in salita posto a valle della stazione che in caso di convogli con problemi ai freni, più di una volta ha aiutato nell'emergenza. Così come è ancora visibile la pompa dell'acqua, quel grosso "tubo" fatto a L rovesciata che riforniva le vaporiere (Fig. 26)

Dell'attuale stato della Porrettana parlano da soli gli attuali limiti di velocità (fig. 27): si spendono cifre colossali per andare a 300 km/h (e va bene) ma non si fa nulla per migliorare un pezzo di storia.

Fig. 24 - Trincea e galleria idraulica di Castagno

Va altresì precisato che RFI non ragiona col cuore e fa investimenti laddove c'è traffico passeggeri. Da Porretta a Pistoia non vi è nessuna stazione di un paese che faccia comune: tutte frazioni, le prime tre nel comune di Granaglione (BO) le restanti 7 (attualmente 5 perchè 2 sono dismesse) nel comune di Pistoia.

Fig. 23 - La trincea di Vignacci

Una curiosità: questo comune di 90.300 abitanti ha 6 stazioni/fermate in uso: Pracchia, Sammomè, Castagno, Corbezzi, Pistoia Ovest e Pistoia + 2 dismesse (Piteccio e Valdibrana). Praticamente una ogni 11.200 abitanti. Se questo rapporto lo si confronta con quello di altre città, il rapporto è notevole, ma se lo si confronta con quello di Sammommè dove 135 abitanti hanno una stazione (la fibra ottica e il teleriscaldamento), il paragone non regge.

Perchè questo alto numero di stazioni a fronte di frazioni scarsamente popolate? Il motivo va cercato nella storia quando questa tratta era l'ossatura ferroviaria tra nord e sud Italia e a breve raggiunse la saturazione del traffico. Su una linea a binario unico, si dovettero aumentare le stazioni per dar modo ad un maggior numero di treni di incrociarsi. Ma negli anni 20 si arrivò di nuovo alla saturazione con 35 coppie di treni nelle 24 ore per cui si dovette studiare una nuova linea (a 2 binari) tra Bologna e Firenze. Nel 1934 inaugurò la "direttissima" e per la storica Porrettana e i suoi pittoreschi paesi di villeggiatura quali Pracchia ed altri, iniziò il declino scendendo a 5 coppie di treni al giorno per il solo traffico locale.

Fig. 25 - Un ponte naturale

Fig. 26 - A Piteccio non ferma nessun treno

Piteccio è un po' il centro del turismo del vapore della Porrettana: è singolare che sia proprio una delle fermate tagliate da RFI, quando altre con frazioni per più piccole permangono attive: misteri di RFI. Sta di fatto che non si può passare per questo paese senza ammirarne il viadotto ferroviario. Originariamente era composto da una struttura a 3 piani di arcate ma durante la guerra fu distrutto e quindi poi fu ricostruito. Nessun sito riporta la sua altezza ma dalle dettagliate quote altimetriche della Cartografia Tecnica Toscana ho ricavato che l'altezza massima sul sottostante rio Castagno è di circa 42 metri ovvero da da 282 m. (sede ferroviaria) a 240 m. (alveo del Castagno) (fig. 28)

Il mio calcolo era di risalire la stradina che passa sotto al viadotto e poi subito a destra prendere un sentiero scorciatoia che mi riporta in direzione di Fabbiana più precisamente per via Greppo-Pianella-Paccosi fino all'abitato di Paccosi dove avrei fatto acqua alle bottiglie. Ma risalendo tale sentiero faccio un altro errore di navigazione e mi trovo intrappolato tra la ripida e scoscesa valle del Castagno e la ferrovia subito al termine del viadotto lato sud, cioè lato Pistoia poiché qua siamo già dopo la seconda curva della grande S e la ferrovia per Pistoia riprosegue appunto verso sud.

Con quasi 20 km di strada nei piedi non me la sento di tornare giù e provo a... improvvisare, compiendo una vera e grave violazione al codice ferroviario, cioè quella che vieta tassativamente di inoltrarsi lungo le sedi ferroviarie e, peggio attraversarle. Per questo fioccano verbali e multe da capogiro: chiedete ad un ferroviere oppure ad un agente della Polfer.

Fig. 28 - Secondo miei calcoli, il viadotto di Piteccio è alto 42 metri

Fig. 28 bis - Il luogo del famigerato attraversamento - Cliccare per vedere il video

Fig. 27 - Velocità da ciclisti

Sono in un bosco, in mezzo a rovi e ortiche, coi pantaloncini corti, tempestato da tafani assetati del mio sangue ed essendo le 17:30 significa che sto scarpinando da 7 ore e mezzo. Inoltre la circolazione dei treni è ferma per manutenzione. Ci provo e attraverso spingendomi in direzione del sentiero perduto.

Ma rimango bloccato nella sede ferroviaria: a monte il viadotto, a valle i binari, e nella direzione della montagna, cioè quella che dovevo seguire c'è un muro di contenimento sulla sede ferroviaria e dove questo termina prima del viadotto, prima del precipizio verso il fiume, c'è uno spazio pari in cui si potrebbe passare, peccato che ci sia uno sbarramento di ortiche. (Vedi fig. 28 bis)

 Rimango perplesso: ortiche dappertutto, alte anche mezzo metro. Coi pantaloncini corti, ovvero a gambe nude è un suicidio tentare il passaggio anche se si tratta di 3 - 4 metri. Non so che fare e più il tempo passa e più aumenta la probabilità che qualcuno mi veda e mandi le forze dell'ordine a ripulirmi economicamente con un verbale da capogiro! Se facessi una rapina rischierei di meno.

Fig. 29 - Fabbiana ore 18

Fig. 30 - La braceria mi ha creato delle

               visioni mistiche

Senza poi contare quelli che vedendomi sporco, graffiato, orticato, tafanato, cotto dal sole e dai km percorsi, la bandana sudata in testa e lo zainetto sulla schiena, pensano ad un kamikaze fondamentalista che cerca qualcosa da far far saltare per aria.

Coi tempi che corrono vuoi che non ci sia qualcuno che, vedendomi in questo stato in questo luogo, pensi questo? Speriamo davvero di no.

 Orbene: devo trovare una soluzione e anche velocemente.

L'occhio cade su un bastone di legno, un pezzo di ramo secco e sporco che vedo poco prima del campo di ortiche: è la mia salvezza.

Inizio a smazzare bastonate a destra e a manca finche non mi libero un varco, riuscendo miracolosamente a passare senza una puntura. Arrivato finalmente al bosco mi giro indietro, guardo incredulo il campo di ortiche e il varco e penso che se sono senza una puntura da ortica è stato solo per un miracolo: non riesco proprio a capire come sia passato indenne da quell'ìinferno.

Ancora impanicato mi allontano velocemente ritrovando il sentiero perduto e senza fare nemmeno una foto alle maledette erbe pungenti.

Dopo altri parecchi km, presumibilmente 4 o 5, tutti di salita arrivo a Paccosi non prima di fare un altra istantanea a Fabbiana vista dal basso (fig. 29). Faccio acqua e proseguo per un sentiero, sempre in salita, fino al bivio fatto prima, quello della via Leporaia e Finocchi (Fig. 22). Da qua per via Poggiolo - Croce a Uzzo sino alla SS64 Porrettana (la statale Ferrara-Bologna-Pistoia).

Passo sul 44° Parallelo in località Croce a Uzzo dove vedo una braceria (fig. 30) che mi crea visioni mistiche e allucinazioni post ortiche, rovi, tafani e 25 km sulle gambe pari a 7-8 ore di cammino: fiorentina da 1 kg cotta alle brace con contorno di... va beh... finiamola qua x favore, mi sembra di essere nel famoso film di Citti "Il minestrone".

Devo raggiungere Corbezzi perchè alle 19.41 passa il bus sostitutivo che mi riporterà a Porretta ed essendo l'ultima corsa della giornata, se tardo dormo nel bosco tra zanzare e ortiche. In stazione a Corbezzi ci arrivo in effetti in largo anticipo, prendendo la scorciatoia che dopo Croce a Uzzo scende giù a valle abbandonando la SS64.

La stazione di Corbezzi credo sia l'unica stazione al mondo ad avere... 6 gallerie! (fig. 31). A cosa servivano 6 gallerie in una stazione di un paese che ha 130 abitanti? Premettiamo che detta stazione si trovava tra due gallerie distanti tra loro solo 250 metri. Come poteva un treno più lungo di tale distanza, incrociarne un secondo? Furono quindi costruite gallerie ausiliarie a fondo cieco con 4 diverse funzioni. Le tre gallerie della fig. 31 in alto sono quelle a monte, direzione Porretta Bologna, in basso sono quelle a valle, direzione Pistoia. La prima galleria in alto a sinistra è quella usata per le retrocessioni per precedenza per i convogli particolarmente lunghi. La seconda è quella di transito direzione Porretta Bologna.

Fig.31 - Le 6 gallerie di Corbezzi

La terza era usata per il ricovero dei carri. Nella foto sotto: a destra era la galleria di lanciamento, costruita in salita, dove treni particolarmente pesanti arretravano per prendere la rincorsa per la salita verso il passo. Al centro è la galleria di passaggio direzione Pistoia e a destra era la galleria di salvamento, anch'esso un binario in salita a fondo cieco che più di una volta è stato utile a treni in discesa arrivati lunghi coi freni. Cose d'altri tempi, ma certamente all'epoca avveniristiche.

Alle 19:50 scopro da una signora locale che la linea sostitutiva non ferma in stazione ma sulla SS64 in località La Cugna: ultima corsa persa! Grazie ad internet vedo che c'è una ultimissima corsa bus verso Pistoia da La Cugna alle 20.15. Persa quella, la notte in appennino è assicurata! Sono a pezzi ma allungo il passo perchè mancano 15 minuti e c'è (ancora) della salita da fare.

Al ristorante La Cugna, nonchè bar tabaccheria, mentre compero il biglietto del bus, mi ritornano le visioni mistiche: fiorentina alle brace e... va beh... stop! Non mangio dalle 6 del mattino salvo le more selvatiche: mi posso permettere solo un gelato da pochissimi minuti perchè poi arriva il bus. Anzi, trovo pure un minuto per una ultima foto a pistoia, oramai illuminata. (fig. 32)

Fig. 32 - Pistoia da La Cugna - 1 settembre 2016 - Ore 20:10

Puntuale. Arrivo a Pistoia alle 20:40 e dopo 5 minuti prendo il treno per Prato. Cambio e di nuovo il treno per Bologna. Ho le gambe a pezzi, stanche nei muscoli, nei tendini e anche la circolazione è pesante. Poi i graffi post rovi e le bozze post tafani, solo le orticate sono scomparse. Scarpe grigie, calzini grigi, caviglie grigie, felpa maniche corte intrisa di tutto, dal sudore alla polvere sino agli spray antitafano che costano un botto e non servono a un cazzo (o quasi). Sembro un tossico: fortuna che il capotreno non mi chiede il biglietto.

Si, va beh, il biglietto ce l'ho. Scherziamo? Con mio padre ex ferroviere, giro senza biglietto? Sarebbe come se il figlio del maresciallo andasse a rubare. L'ho detto così... per dire che avevo una brutta cera, una cera di merda.

Tranquilli: lo avevo fatto! Digitale! Attraversare il binario passi, può in certi casi tra mille ortiche fare un po' Rambo, ma girare senza biglietto è da parassiti koglionazzi. Il mio telefonino era rimasto con un 46% di carica mentre la batteria addizionale esterna da 10.000 mAh ovvero 10 Ah indispensabile per queste giornate, è a zero.: i tracker GPS consumano quanto un Lamborghini!

In treno non riesco nemmeno a dormire, tanta è la stanchezza. E penso.

Penso che forse 155 anni fa, tra i paesini che ho visitato, ogni sera c'era tantissima gente molto, ma molto più stanca di me. Erano coloro che hanno fatto la storia che vi ho raccontato, una storia ancora attuale dopo 155 anni.

michelebrinaCHIOCCIOLAmichelebrinaPUNTOcom

04.09.16

 

APPENDICE FOTOGRAFICA

In rete ho trovato alcune immagini davvero interessanti, oltre che d'altri tempi. Le pubblico volentieri anche per far capire come si potesse viaggiare in treno 50 o 100 anni fa.

Viadotto di Piteccio originale Viadotto di Piteccio nel dopoguerra Viadotto di Fabbricaccia
       
ETR 200 "Vipera" sul Fabbricaccia Corbezzi prima dell'elettrificazione (pre 1927) Elettrificazione trifase Pracchia (circa anni 50-60)
       
Ventilatore Saccardo a vapore (Gall. Pracchia) Littorina serie Ale 880 (Anni 80) Una 741 in arrivo a Pracchia
       

 

 

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